Poesia e conoscenza

L’ULTIMO COMIZIO


APOCALISSI

Dagli scritti della mia adolescenza…..

Erano tutti morti. Ne ero convinta da tempo. La gente puzzava di marcio e io lo sentivo. Lo spettacolo non era dei migliori, ma con il tempo viene l’abitudine.
Ogni giorno portavo il mio corpo fuori dalla “tana” e non era facile.
Il risveglio provocato da una stupida radio-sveglia mi martoriava. “Noi fottiamo il tempo e lui ci ci fotte”, pensavo. Poi i minuti rubati in extremis: “Tanto faccio in tempo” e ogni giorno il violento rifiuto della mente di obbedire. Perché farlo? Il tepore m’invitava, mettere fuori i piedi era un’avventura, dovevo resistere, ma comunque sia mi ritrovavo alzata ed era la fine.
Ogni mattina tutto mi spingeva verso l’odiato teatro di quella vomitevole esistenza. Avrei potuto non alzarmi e dire basta, ma dopo senza questo attore il gioco s’incrinava, sbandava. Io servivo e a pezzo a pezzo, ma mano che le ore passavano un brandello del mio corpo si staccava e restavo un misero scheletro bello lucido, spolpato.
Mi avevano divorato piano, piano e di me niente rimaneva.
Il risveglio mi aveva portato via il cuore, l’acqua del mattino il viso. Lo specchio mandava un’immagine mostruosa: le orbite vuote, una bocca senza denti. Poi con il passare delle ore mi ritrovavo senza gambe, senza sesso. Entrando al lavoro il cervello veniva risucchiato, le budella pendevano in disordine sanguinolente e calde. La sera non c’ero più, anche lo scheletro si era dissolto e nel letto entrava solo l’energia vitale che nascosta o ignota a quei cannibali fuori, mi dava la possibilità di ricostruirmi durante la notte e ricominciare. Per quanto tempo ancora, mi chiedevo, sarebbe rimasta anche lei inviolata?
Alla fine quella massa deforme -che era l’escremento dell’umanità, l’avrebbe scoperta e per me sarebbe stata la fine o l’inizio chi lo sa? Non volevo pensarci troppo e a cosa serviva poi? Fuori le cose non stavano meglio: gli altri puzzavano e si trascinavano carponi, ma la cosa che ci distingueva era molto più grande..Io sapevo..Loro no.
Li guardavo, alcuni con il guinzaglio al collo trascinati da padroni ancora integri, perché non tutti erano sbranati, ma pochi: i potenti, i ricchi, i capi, loro erano risparmiati poiché esteriormente nulla era mutato. Gli occhi pieni d’alterigia, le belle pelli immacolate, niente avrebbe lasciato sospettare, ma io lo sentivo: emanavano un fetore nauseabondo, era dentro la malattia, una poltiglia indescrivibile li riempiva, sepolcri imbiancati ambulanti.
Non era stato sempre così, una volta nemmeno io sapevo o forse non ero ridotta in questo stato, guardavo e il mio sguardo era vuoto e non vedevo; fottuta come gli altri.
La prima avvisaglia fu la nausea. Ascoltavo un capo lindo e rosso in viso che parlava di libertà da un pulpito, lui su e noi giù, diceva che noi eravamo liberi perché abbiamo la democrazia….e ad un tratto mi accorsi, e vomitai, che ci stava succhiando. Lui diventava sempre più rosso e noi sempre più pallidi; mi mancò l’aria e un cattivo odore cominciò a spandersi. Gli altri erano lì più pallidi che mai e Cristo! Applaudivano, gridavano il nome del “pappone”.
Allora compresi e fu terribile: era cominciata la fine dell’umanità e nessuno l’aveva capito.

L’ULTIMO COMIZIOultima modifica: 2004-06-28T14:41:11+02:00da
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